la mia storia

  • Cresco in una piccola città annidata in una conca piena di verde, dove ovunque si punti lo sguardo si vedono solo montagne o colline. Io patisco l'orizzonte limitato, e passo il tempo trasportandomi altrove con i libri e fantasticando sulla mia futura vita in una grande città.
  • Al momento di scegliere l'università mi ritrovo indecisa tra Psicologia, che risuona con il mio lato empatico e introspettivo, ed Economia, che chiama la mia mente razionale, pragmatica e organizzata. Non sapendo come conciliare lati tanto diversi ne scelgo uno solo: opto per Economia Aziendale e mi trasferisco a Bologna.
  • Durante gli anni di Università, nonostante gli ottimi risultati, il dubbio di aver preso o meno la strada giusta mi assale spesso. Fatico a immaginarmi in uno degli sbocchi tipici per i laureati del mio corso e mi domando come farò a trovare un po' di 'senso' e umanità in un futuro lavoro in azienda.

  • Poco prima della laurea vengo selezionata da una società di consulenza per un progetto di respiro internazionale che riguarda la sostenibilità ambientale e sociale. Mi appassiono subito: ho molta autonomia, mi sembra di trovare sollievo per la mia sete di significato e ottengo ottimi risultati; quindi - mi dico - è senz'altro la strada giusta. Così accetto la proposta di assunzione e inizio la mia carriera di consulente direzionale sui temi della sostenibilità.

  • In 7 anni come consulente direzionale vivo la tipica carriera "di successo": ottengo sempre più autonomia e responsabilità, cresco in fretta e ottengo la stima di clienti importanti. Questo successo non è a costo zero: lavoro a tutte le ore e spesso nel weekend, sono sempre in trasferta e il lavoro occupa il 99,9% delle mie energie mentali e fisiche.
  • Questo lo realizzo davvero solo dopo due pesanti scossoni che investono la mia vita nell'arco di un anno. Uno di questi - un'ernia del disco che mi blocca a letto per mesi - riesce nell'incredibile impresa di farmi fermare a riflettere davvero sul mio presente e sul mio futuro.
  • Mi accorgo che sto vivendo con il pilota automatico, lanciata a gran velocità su un'autostrada di cui non mi è chiara la destinazione. Quando mi chiedo dove vorrei essere tra qualche anno vedo solo una fitta nebbia lattiginosa, e realizzo con smarrimento che so cosa non voglio più ma non cosa voglio al suo posto.
  • Dopo 6 mesi di assenza a causa dell’ernia del disco ritorno al lavoro. E anche (nonostante i buoni propositi) ai ritmi insostenibili di prima. 
  • In compenso sono più lucida: osservo la mia incapacità di cambiare il mio approccio al lavoro e capisco che la mia pessima qualità della vita dipende soprattutto da me. E a poco serve dare la colpa al tipo di lavoro che faccio, ai clienti difficili o ai capi esigenti. Le vere ragioni stanno nel modo in cui gestisco il mio lavoro e quello delle persone che coordino: pochi confini, scarsa capacità di gestire le aspettative, negoziare i tempi o pianificare in modo sostenibile, e un modo di delegare, dare feedback e di trasferire competenze che evidentemente non funziona - altrimenti non mi ritroverei a lavorare di notte e a rimettere sempre mano al lavoro di altri.
  • Comincio a chiedermi come migliorare la mia capacità di leadership (per me stessa e per le persone che gestisco), visto che i modelli a cui mi sono ispirata fino a ora non mi sono stati d'aiuto. E intanto continuo a interrogarmi su cosa voglio davvero.
  • Un percorso di coaching proposto dalla mia azienda mi aiuta a mettere a fuoco i miei talenti e ciò che amo fare di più. Caratteristiche come l’empatia, la chiarezza, l’autenticità, la capacità di andare oltre la superficie e considerare tanti punti di vista allo stesso tempo emergono come i fili conduttori di tutta la mia storia professionale e personale. Mi sento dire che sarei molto portata per professioni basate sull'ascolto e la relazione - coaching, counseling, psicoterapia, ... - e mi viene da sorridere: io ero quella che non aveva scelto Psicologia! 
  • Il coaching mi aiuta anche a capire che nessuno si occuperà di cambiare quello che non mi piace del mio lavoro. Né tantomeno di trasformarlo in ciò che desidero davvero, se nemmeno io so cos'è. Così mi assumo finalmente la responsabilità del mio futuro e investo su un percorso di consulenza di carriera.
  • Con la consulenza acquisisco tutti gli strumenti tecnici per cercare lavoro, ma non ottengo risposta alle grandi domande: chi voglio essere tra qualche anno? Cosa conta davvero per me nel lavoro? Come farò a conciliare il desiderio di crescere professionalmente e creare un impatto con il bisogno di vivere in modo più stabile ed equilibrato?
  • Sulla spinta di questa nuova responsabilità verso me stessa e il mio futuro faccio un altro passo: dopo anni che guardo con curiosità al coaching e poi mi dico "Ma tanto ormai ho preso un'altra strada", mi iscrivo a un master di un anno in Executive Coaching basato sul modello ontologico-trasformazionale, presso la Scuola Europea di Coaching di Torino.
  • Il master in coaching ontologico-traformazionale cambia profondamente il mio modo di vedere me stessa, le situazioni e le relazioni. Acquisisco strumenti che trasformano il mio quotidiano, nel lavoro e nel privato, e scopro un modo di vedere ed esercitare la leadership in azienda che offre proprio quell'alternativa che sto cercando da anni.
  • Nel frattempo lascio la consulenza per entrare in una grande azienda. Cambiare radicalmente settore è una sfida che ho voglia di affrontare, e i ritmi di lavoro più prevedibili mi consentono - per la prima volta dopo 10 anni di carriera - di dedicarmi ai miei interessi e occuparmi meglio della mia salute.
  • A ottobre completo il master a Torino e ottengo la qualifica di Executive Coach. Da quel momento inizio a dedicare quasi tutto il mio tempo libero al coaching: faccio pratica, lavoro con le prime clienti, acquisisco sicurezza e rafforzo le mie competenze. Arrivata a fine anno comincia ad affacciarsi la domanda che avevo accuratamente evitato fino a quel momento: e adesso?
  • Lo so praticamente da subito - dalla prima sessione di coaching condotta sotto supervisione - che voglio fare del coaching il mio lavoro, ma ancora non sono ancora in grado di vederlo possibile. Quando provo a immaginarmi coach a tempo pieno sbatto contro un muro di preconcetti: "non ho una mentalità imprenditoriale", "nessuno vive di solo coaching""come farei senza sicurezza economica", ecc. Così mi impedisco di prendere sul serio il mio desiderio e continuo a concentrarmi sul lavoro in azienda, relegando il coaching al tempo libero.
  • Non funziona a lungo. Non sono felice, mi sento come se mi stessi costringendo da sola in una gabbia di cui possiedo la chiave. Pian piano comincio ad ascoltare l'intuito e a dare credito al mio desiderio: voglio fare la coach, lavorare online e aiutare altre donne che faticano a vedere possibile ciò che vogliono davvero. Devo "solo" superare il muro di preconcetti che mi impedisce di procedere.
  • Una parte dei miei preconcetti riguarda me e quello che "potrei" o "non potrei mai" fare. Così comincio a fare le cose più strane con il preciso intento di allargare la mia zona di comfort: un corso di improvvisazione teatrale, eventi di networking, attività creative abbandonate da decenni, un ritiro di meditazione in totale silenzio. L'altra parte di preconcetti riguarda chi offre servizi online, perciò vado in cerca d'imprenditrici e libere professioniste in cui posso riconoscermi e di cui condivido i valori, a riprova del fatto che è possibile lavorare online con professionalità e serietà.
  • Qualcosa in me si sblocca, e in uno slancio di entusiasmo faccio un primo passo: creo la community Impantanate di Successo con l'idea di offrire uno spazio intimo e non giudicante alle tante donne di talento che vivono un periodo di "impantanamento" professionale e cercano la strada per uscirne.
  • Per i primi 6 mesi dell’anno dedico ogni minuto di tempo extra-lavorativo alla community e al mio progetto. Ma poi arriva, ancora una volta, lo "stop" del mio corpo: all'improvviso mi ritrovo sfinita, spenta, afflitta da un mal di testa intenso che non mi lascia mai. Conoscendo l'andazzo, abdico alla volontà del mio corpo e mi fermo.
  • Questo stop forzato mi fa ritrovare lucidità: capisco che, anche se sto facendo esperienze preziose, per non disperdere le energie e dare forma al mio progetto imprenditoriale ho bisogno di competenze e supporto. Così investo in un percorso di business mentoring, metto a fuoco i passi da fare e definisco un piano, prudente e pragmatico, per costruire il mio business in parallelo al mio lavoro full-time.
  • Dopo pochi mesi d'impercettibili progressi conquistati a fatica nei ritagli di tempo libero, mi sento un animale in gabbia: il pensiero d'impiegare anni a far sbocciare il mio progetto, e nel frattempo continuare una vita divisa tra due lavori e due "identità", mi è fisicamente insopportabile.
  • Accolgo il malessere che sento e provo a mettere in discussione il più poderoso dei miei preconcetti: che sia "impossibile" lasciare un lavoro che dà certezze e sicurezza economica prima di avere un'alternativa altrettanto sicura. Mi domando "Se non fosse impossibile... come lo farei?" e costruisco un altro piano. Impegnativo e difficile, sì, ma non impossibile.
  • Alla fine scelgo di fidarmi di me, del mio intuito, del mio corpo e di quella convinzione che, ormai da 3 anni, mi sta guidando come una bussola avvicinandomi sempre di più alla mia visione. A novembre do le mie dimissioni e a gennaio 2021, ormai non più dipendente, apro la Partita IVA e inizio a scrivere un nuovo capitolo della mia storia.

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CIAO

Sono Eleonora, Leadership coach al femminile. Aiuto donne che aspirano a crescere in azienda a realizzarsi senza rinunce e a diventare leader più consapevoli e sostenibili

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